martedì 25 ottobre 2011

Ciao Sic.


Ci ho messo un po’ a scriverci su. A caldo, magari, ciò che avrei scritto sarebbe stato banale e retorico. E lui – Marco, o SuperSic come eravamo un po’ tutti soliti chiamarlo – non era né retorico né banale. Simpatico e buffo, sì. Non potevi non volergli bene. Allegro e spontaneo in ogni momento. Anche a inizio stagione, quando tutta la Spagna gli era contro. Colpa del suo essere troppo spericolato in sella alla moto. Scorretto, a detta iberica (Lorenzo e Pedrosa su tutti). Ma scorretto, lui, non lo è mai stato. Spericolato e irruento sì: a Le Mans aveva travolto Pedrosa, che nella caduta si ruppe una spalla e, ad Assen, Lorenzo. Prima e dopo, una serie di cadute causate dalla tanta voglia di spingere al massimo e stare sempre più avanti. La stessa voglia che domenica, probabilmente, gli si è ritorta sadicamente contro.

Simoncelli resta attaccato alla moto, invece di andare verso l’esterno, tagliando la curva e, inevitabilmente, la strada a Edwards e Rossi che se lo ritrovano davanti quando ormai è troppo tardi per scansarlo. L’impatto è violentissimo e Sic perde addirittura il casco. Il tragico epilogo lo conosciamo tutti.

Si dice che nel motociclismo, grazie al continuo sviluppo dei sistemi di sicurezza, sia possibile evitare ogni morte. Tranne, purtroppo, quella in cui il motociclista viene investito.  È accaduto poco più di un anno fa a Shoya Tomizawa, qualche giorno fa a Marco Simoncelli. Le dinamiche sono in parte simili. L’inevitabile è accaduto: due volte in un anno.

Nel 2003 è stato invece il turno di Daijiro Kato. Circostanze molto diverse da Shoya e Sic: il giapponese della Honda andò a schiantarsi per un problema tecnico alla sua moto. Anche se la versione ufficiale del team nipponico ha preferito parlare di “se” e di “ma” che quasi nessuno ha mai compreso fino in fondo (qui).

Sic era uno di quelli che, se cadeva cento volte, centouno volte era ancora in piedi. Più forte di prima. Sembrava invulnerabile. Di gomma, alle volte. E dopo ogni caduta, non aveva alcun problema ad affermare di essere stato un “coglione”, come disse dopo Assen, di aver sbagliato lui qualcosa o di essere una “patacca”.
In moto era l’antitesi dell’eleganza, ma aveva talento. Tanto. In prova riusciva ad ottenere piazzamenti da big, in gara rovinava tutto troppo spesso. Domenica voleva vincere, salire sul gradino più alto del podio. Quel gradino che, a sua detta, lo faceva apparire meglio in televisione.

Marco Simoncelli è morto. Andando via, porta con sé anche la MotoGp. O almeno, ciò che ancora rimaneva di un mondo non più romantico già da qualche tempo, fatto di verità non dette (la morte di Kato) e imposizioni assurde (correre a due passi da Fukushima).

Ciao Sic. E non tagliare quei capelli.



-"Non hai paura di ammazzarti se fai un incidente?"
-"
No. Si vive di più andando 5 minuti al massimo su una moto come questa,
di quanto non faccia certa gente in una vita intera
".
Marco Simoncelli (20 gennaio 1987 – 23 ottobre 2011)

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