domenica 15 luglio 2012

L’Europeo visto (d)alla Rai: tra filosofia e misticismo


Di seguito, il mio editoriale per l'FM Magazine di Giugno:


La copertura Rai delle partite di Euro 2012 ha garantito delle cronache pregne di contenuti e misticismi vari. Non si era mai visto (né ascoltato) un Europeo così. Si entrava nelle leggenda già alla mattina e se ne usciva a notte fonda.

Alla Rai, vivono da sempre  in un mondo incantato, con Euro 2012 hanno aggiunto addirittura i castelli (Bacconi vive). Ricorderemo a lungo le telecronache di Gentili e Dossena, la luce emanata da Paola Ferrari e le splendide (ma che dico splendide: auree ed eccelse) battute di Mazzocchi, in collaborazione con Zazzaroni (spalla inconsapevole) e persino Pannofino (ai livelli più bassi mai toccati in carriera).

Già ad inizio torneo, la Rai ha messo le cose in chiaro, dando un antipasto della qualità con la quale l’Europeo in Polonia e Ucraina ci sarebbe stato raccontato. Il momento è quello di Danimarca – Olanda: D’Amico perde l’aereo e lascia Bezzi da solo in cabina di commento. Novanta minuti di incessante martellamento in solitaria sui maroni. Si parte alla grandissima.

Più in basso di così, non si può scendere. L’abbiamo pensato tutti, ma la Rai ci ha stupito ogni partita di più e ha cominciato a scavare. Il pezzo forte, è stata indubbiamente la pronuncia pressoché perfetta dei nomi stranieri: Joe Parkr (esclamato all’uscita dal campo dell’inglese Scott Parker);  Rruayhaxon (l’incolpevole Roy Hodgson, pronunciato come una qualsiasi imitazione dei Rayban);  Swuengstaker, nel secondo tempo corretto (?) in Uhan Staiker (capisco le difficoltà nello scrivere Schweinsteiger, ma pronunciarlo  dovrebbe essere più semplice);  Fabras (che non è il cugino greco di Fabregas, ma è proprio Fabregas); Peppe (Pepe); Naier (Neuer); Craas (Kroos); Xavier (Xavi); John Henderson (Jordan, magari);  ww..wk..lw… huhelbak (non è un grido d’aiuto, è solo Welbeck); il grandissimo Uerruni (a orecchio, dovrebbe essere il cugino siciliano di Wayne Rooney), Stekelengur (daje); Yeng (quel cinese di Young); Bashtube (che non è un nuovo sito di video porno, ma è solo Badstuber). Sorvolo - con somma bonomia - sui nomi polacchi, la cui pronuncia è sbagliata persino dai polacchi stessi, ma apro parentesi sui facili (all’apparenza) nomi italiani. Vediamone un paio:  Damiano De Rossi (sarà lo zio); Monpirlo (fu-sio-neee, cit); Nocerini (e quanti sono?); Montolivio (va bè); Cicci Buffon (in intimità, la Seredova probabilmente lo chiama Cicci); Andrea Balzaretti (e magari anche Ignazio Chiellini) e il grande Mario Prandelli, anche detto Cesare Brandelli (se proprio lo si vuole azzeccare al 99%). 

Ma non è tutto, c’è di più. Molto di più. Accadono cose strane anche in campo: c’è un Maggio che si crossa il pallone da solo (“Maggio crossa per Maggio”, lo ricorderò per il resto della vita e, probabilmente, me lo farò tatuare sul petto); un “De Rossi sui carponi ardenti” (neanche a immaginarle, certe scene); un Buffon che “prende le palle coi pugni” (questa, se la immagini, ti fai male); un “gol di Montolivo fuori” (non so se esultare, piangere, o fare entrambe le cose: non sono preparato ad un evento del genere); gli inglesi che diventano inglesi (“i giocatori inglesi sono diventati inglesi veramente”, sembra divertente); i Russi che tornano Sovietici (tuffo a piè pari negli anni ’80); i messaggeri (di bordo? Di pace? Di luce? Di Dio?!) che vanno a chiamare Giovinco; Srna che fa “dello STRACCING” (c’mon!); Menez che diventa Mexes (“Ci sta”, commenterebbe D’Amico), ma che poi viene scambiato per Diarra; Pirlo che diventa Balotelli (ci vuole talento); interventi “a sandwich doppio” (Gianni Bezzi c’è, ed è al Mc Donald’s); tiri “di taglio a giro di piatto dritto” (ho le vertigini); palla che “non arriva dritta come parte, ma ondeggia” (ho il mal di mare); e, per finire, il misterioso tiro di Fabregas (che però era Arbeloa, salvo mezzora dopo scoprire che invece si trattava di Jordi Alba) e la prodezza di Podolski che “colpisce bene a vuoto” (ma colpisce bene, sia chiaro).

Spazio anche alle irrinunciabili curiosità: "Giroud, unica punta di ruolo a disposizione della Francia" (nei miti dell’estate Benzema è morto, semi-cit); “Nella difesa a quattro uno si stacca e due coprono” (il quarto va a prendere da bere per tutti); "Pepe, voluto fortemente al Real da Mourinho" (così fortemente, che Mourinho era ancora all’Inter quando Pepe arrivò al Real); "Santi Cazorla, giocatore di contenimento" (che regista, invece, quel Busquets); “Se la palla è 20 metri dietro di te, tu fanne 10 in avanti” (Dossena filosofo contemporaneo); “De Rossi ha fatto contrasti diretti e contrasti indiretti” (in quelli indiretti, ha lanciato Marchisio contro l’avversario); "4-3-1-2 fluttuante" (2012: Europei nello spazio); “Se non c’era l’avversario era gol” (Dossena uber alles); “Abbiamo trovato le chiavi” (sì Dossena, adesso metti in moto e vattene).

Personalmente, però, sono rimasto favorevolmente impressionato dalle statistiche che sciorinano ad minchiam con sapienza crassa. In particolare, il mio idolo è e rimane Enrico Varriale, che ci rasserena tutti e ci ricorda: “L'Italia non perde una partita negli Europei o Mondiali dall’88. Al massimo ai rigori, ma mai nei 120 minuti". Certo, come un po’ tutti, io ho ancora in mente il quinto rigore di Trezeguet ad Euro 2000, il quarto rigore di Ahn in Corea nel 2002 e, soprattutto, i serratissimi rigori del 2010 - nella fase a gironi del mondiale in Sudafrica - contro la Slovacchia. Momenti che restano impressi nella mente, Enrico.

Fortuna che c’è quel bischero di Marco Mazzocchi che ha sempre la battuta pronta. Dopo un filmato in cui il suo collega Amedeo Goria abbraccia prima Trapattoni e poi Prandelli, Marco la butta lì: “Amedeo abbraccia tutti, come nel film Lola bacia tutti”. Andate a dirglielo voi che quella era Viola, io getto la spugna.


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