martedì 6 settembre 2011

Schiavone come se fosse antani: la supercazzola postpartita.

Si può perdere. La cosa fondamentale è saperlo fare. La Schiavone non sa più farlo. Dopo ogni sconfitta, entra in sala stampa e tratta tutti come dei rincoglioniti decerebrati. Ieri, la sua intervista postpartita ha sfiorato la leggenda. Bei momenti. E non scherzo. Francesca Schiavone s’è messa quasi a vergare poemi. Il risultato è qualcosa a metà strada tra Delneri che cerca di spiegare una sconfitta e Bossi che cerca di farsi capire. Si faccia una serissima e puntuta esegesi di questa intervista pregna di contenuti utili ai risvolti esistenziali di ognuno di noi.


Pronti, via. Il giornalista le chiede un’analisi della sconfitta e a cosa lei la possa mai attribuire: “Ai servizi persi - 9 su 16 - o a altre situazioni?”. In più, ignaro di chi lui abbia davanti, le sottolinea come lei – il giorno prima – avesse ribadito l'importanza dei colpi d'inizio gioco.

Apriti cielo. Con fare da iosonoioevoinonsieteuncazzo, Francesca sospira ed esordisce così: “Mi piacerebbe che imparaste.. eh.. un po’ di tennis”. Un esordio da manuale. “Cerco di essere più semplice possibile, però più vera”. Quarantatre secondi d’intervista e già ti verrebbe da alzarti e andartene, ignaro degli spunti intellettuali che potrebbe fornirti. “Perché posso mentirvi in modo molto.. molto facile. Ma ogni volta ci provo a dirvi le cose che (che?)… ogni volta (ah!)”. Sta già sognando di fucilarli tutti. Ad uno ad uno. ‘Sti giornalisti inutili che di tennis non capiscono una mazza. “Gioco due punti su otto e questo livello non basta, non è sufficiente. Sì.. posso tirare a caso una partita (diciamo meglio “alla cazzo di cane”, e l’hai fatto per tutto il torneo )…però ci vuole una continuitàaaa..molto più spessa”. A questo punto ci rivela una verità assoluta: “Quaranta pari, doppio fallo, non dipende dal servizio”. Cioè, sbagli due servizi di fila nel momento meno indicato (‘na genialata!) – senza contare tutti quelli che hai mandato a zoccole ucraine nei game precedenti (54, contiamoli e infieriamo) – e non dipende dal servizio? E da cosa, dal buco nell’ozono? Dall’aumento del prezzo della benzia? Dalla rete troppo alta? Giochiamo su un campo da ping-pong?. “Dipende da quanto ci metti, da dove vuoi servire, da come vuoi giocare.. è questo che fa la differenza […] non è il servizio, è la predisposizione, l’intenzione, il come della cosa”. Dietro un doppio fallo c’è tutta la storia del tennis, in pratica. E poi via, a trattare tutti come rincoglioniti: “Io cerco di dirvelo, di spiegarvelo.. però, non so quanto vi arriva..”. E certo, che ne possono capire quelli – deficienti – di una prima che non entra perché dipende da quanto-ci-metti-dove-come-perché-tarapìa-tapiòco-prematurata-la-supercazzola-o-scherziamo.

Al che, il giornalista, tenta di farle notare qualcosa di inconfutabile: il 50% delle prime l’ha messo in campo, il restante 50% no. E in quel 50% ci sono la bellezza di 10 doppi falli. 54 prime in campo, su 108. È il servizio. Lei, provando quasi compassione per quell’inetto statisticomane dall’atteggiamento à la MauroSconcertivsMourinho, risponde: "Ok..”. Come a dire “sì, ma che palle, come dici te, la prossima volta stai a casa a guardare il curling”. Il giornalista non ha più la forza di porle altre domande.

“Il primo set io ho giocato male, lei a giocato malissimo. Nel secondo set io ho giocato male, lei ha giocato discreto. Terzo set: i primi due game, io male.. ancora.. quindi.. pensa.. che livello che ho espresso oggi”. E qui, sembra quasi che stia ammettendo di aver perso meritatamente. Hai giocato male per tutta la partita, lo ammetti, non ti lamenterai certo della sconfitta. E invece: “Io dico che è stata più forte quando l’altra è più forte.. oggiiiiì…oggi.. io sbaglio in questa maniera, me la devo mangiare e vado a casa”. E ancora: “Mi mangio il risultato.. sto zitta e vado a casa”. Eh ma magari: son tre ore che ci spieghi il tennis secondo la Schiavone e non ti stai mangiando un bel niente. Hai perso, hai giocato uno schifo, la prima non ti è entrata nemmeno per far partire la macchina e ci stoni gli zebedei con il tuo servizio che va benissimo così e quanto sono belli i tuoi dritti e tuoi rovesci.

“Non gioco male (ecco, appunto). Gioco e non gioco”. E un bello sticazzi a sottolineare il concetto(?) ci starebbe da dio. “Poi, incontro una che gioco meglio (e via, concordiamo come Mughini con i calzini) .. io sono capace di venire qua e dirti ‘ha giocato meglio.. mi ha battuto.. è stata più forte’.. oggi mi tolgo io e sbaglio.. sono arrabbiata per quello”. E poi via, con perle che lasceranno il segno negli annali, in grado di far apparire modesto persino uno come Mourinho: “Sono in continua crescita”, “Fare 2 su 8 è avere la possibilità e non usarla”, “Ho fatto un discorso importantissimo”, “Non è complessissimo, è più semplice di quello che è”. Tanto che ad un certo punto, qualcuno – in pratica – le consiglia uno psicologo. È l’apoteosi.

L’intervista si conclude con qualcosa di epico. L’argomento è Simon. Uno che il tennis non ha mai saputo nemmeno dove sta di casa. Secondo la Schiavone, il francese avendo battuto Del Potro ha dimostrato come il talento (cazzo!) e la continuità (???) faccia la differenza. “Ogni volta che fa il suo, Simon porta a casa”. Simon. Cazzo. Gilles Simon. Misericordia. Andiamo a casa.

L’intervista si chiude qui. Non prima di aver gettato un “bravissimo” ad minchiam, probabilmente indirizzato a Simon. Ma vi giuro sul servizio della Schiavone che al termine di questa epopea ho messo su un disco di Simon e ho cominciato a skretchare con la Schiavone che di rimando si esibiva in “Io cerco di dirvelo, di spiegarvelo..sono in continua crescita”. In tutto questo, l’italtennis era in salute. Diamine se era in salute.

P.S.: se - non paghi di ciò - voleste ascoltare il tutto dalla voce della Schiavone, trovate l'audio qui.

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